Mare Fuori: tra il successo mediatico e il fascino della mala vita

L'equipe di mare fuori
Cast di “Mare fuori”- CC attribuzione non commerciale
Navigare controcorrente

Negli ultimi anni, Mare Fuori è diventato un vero e proprio fenomeno culturale, conquistando milioni di spettatori, dominando le classifiche di Netflix e diventando virale su TikTok con citazioni, musiche e scene condivise ovunque. Eppure, nonostante questo straordinario successo, mi trovo a navigare controcorrente: Mare Fuori non mi convince. E no, non parlo per pregiudizio o per sentito dire, ma da spettatrice che ha seguito la serie, cercando sinceramente di comprenderla.

Di cosa parla Mare Fuori?

Per chi non la conoscesse, Mare Fuori è una fiction ambientata in un istituto penale minorile di Napoli. La serie racconta le storie intrecciate di ragazzi e ragazze detenuti per vari reati: alcuni hanno ucciso, altri spacciano, altri ancora sono semplicemente finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato. La narrazione si sviluppa tra storie d’amore, amicizie profonde, vendette, speranze di redenzione e dolorose ricadute.

La serie tenta di illuminare il lato umano dei detenuti: i sensi di colpa che li tormentano, i sogni infranti, il desiderio ardente di una seconda possibilità. Alcuni personaggi intraprendono percorsi di crescita e cambiamento, mentre altri rimangono intrappolati nella spirale della criminalità. Ed è proprio questo il fulcro della mia critica: Mare Fuori mostra un’umanità ferita, ma non sempre riesce a mantenere la necessaria distanza critica da ciò che racconta.

Le criticità tecniche: una produzione imperfetta

A livello tecnico, la serie presenta diverse fragilità. Il montaggio risulta spesso confuso e frammentato, quasi amatoriale in certi passaggi. Le scene non sempre si collegano fluidamente tra loro, e il ritmo narrativo è altalenante: momenti eccessivamente dilatati si alternano ad accelerazioni improvvise che non permettono un adeguato approfondimento dei personaggi o delle loro motivazioni.

Anche sul fronte recitativo emergono disomogeneità. Se alcuni interpreti offrono performance convincenti, altri appaiono troppo teatrali o forzati, compromettendo l’immersione dello spettatore. L’insieme appare talvolta “scadente”, non all’altezza dell’intensità delle storie che vorrebbe raccontare.

Il vero problema: la romanticizzazione della criminalità

Ma la mia critica più sostanziale riguarda l’approccio alle tematiche trattate. Comprendo perfettamente che raccontare storie ambientate in un carcere minorile significhi necessariamente affrontare temi come criminalità, dolore e vite spezzate. Il punto cruciale, però, è come questi elementi vengono rappresentati.

La serie incorre in un rischio significativo: quello di rendere affascinante la “mala vita”. I protagonisti sono adolescenti coinvolti in omicidi, spaccio, rapine, eppure vengono rappresentati come eroi tragici, belli e tormentati, figure da amare e compatire. Il pericolo è che molti spettatori, particolarmente i più giovani,  sviluppino una eccessiva empatia con questi personaggi, fino a romanticizzare il crimine e le sue conseguenze.

Ed è precisamente ciò che sta accadendo. Sui social, Mare Fuori non viene discussa come denuncia sociale, ma trattata alla stregua di una fiction romantica, una favola dark in cui “shippare” coppie e idolatrare personaggi problematici, ignorando la gravità delle loro azioni.

I meriti: un’occasione per riflettere

Nonostante queste criticità, riconosco che Mare Fuori possiede anche un significativo potenziale informativo e sociale. La serie punta i riflettori su una realtà spesso ignorata: quella delle carceri minorili in Italia. Mostra quanto sia arduo per un giovane emanciparsi dal contesto degradato in cui è cresciuto, quanto sia complesso il percorso di redenzione quando la strada ti ha formato, e quanto la società risulti frequentemente impreparata ad accogliere chi tenta di cambiare rotta.

In questa prospettiva, la serie può effettivamente stimolare importanti riflessioni: “Quali fattori spingono un adolescente verso il crimine?”, “Quale ruolo può svolgere la comunità nella prevenzione?”, “Esistono autentiche seconde possibilità?”. Mare Fuori raggiunge la sua massima efficacia quando rivela la vulnerabilità celata dietro l’apparente durezza, quando fa comprendere che nessuno nasce predestinato al male, ma che determinate scelte comportano conseguenze permanenti.

La necessità di una narrazione responsabile

Il problema non risiede tanto nella serie in sé, quanto nella sua ricezione e interpretazione. Se fruita con sguardo critico e consapevole, può rappresentare uno strumento di denuncia e riflessione. Ma se approcciata come puro intrattenimento, rischia di veicolare messaggi problematici, specialmente presso quella parte maggioritaria del pubblico giovane e influenzabile.

Questa fiction deve il suo successo alla capacità di suscitare emozioni intense e creare forti legami con i personaggi. Proprio per questo, dovrebbe assumersi una maggiore responsabilità rispetto al messaggio trasmesso. Raccontare la criminalità non significa giustificarla, e rappresentare la realtà carceraria non dovrebbe ridursi a un teen drama con venature da gangster movie.

Ho scelto di guardarla e continuerò a discuterne criticamente. Perché anche ciò che non ci convince merita di essere analizzato e compreso. Solo attraverso questo esercizio critico possiamo crescere davvero, come spettatori consapevoli e come cittadini responsabili.

Virginia Castellesi III D Turismo Sezione Quasimodo

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