Il 25 aprile e la Resistenza: democrazie e totalitarismi
Intervista con il prof. D’Andrea per saperne di più
Il 25 aprile, festa della liberazione dall’occupazione nazifascista, è festa nazionale, cioè festa celebrativa e caratterizzante il nostro Stato. Perché, dunque, è stata spesso ignorata o contestata? Come redazione del Minutoli web e come studenti cerchiamo, quindi, di conoscere meglio il suo significato e le vicende storiche in cui si colloca. Affrontiamo, così, con la nostra docente di Storia, la prof.ssa Rosamaria Migneco, chiaramente in maniera sintetica e rinviando l’approfondimento al prossimo anno, il fascismo, la seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica. Durante queste lezioni concordiamo con la docente un approfondimento sul 25 aprile con un esperto costituzionalista. Nasce così l’intervista, in videoconferenza, con il prof. Luigi D’Andrea, ordinario di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Messina.
Il prof. D’Andrea ci conquista subito con la sua affabilità, la chiarezza e la concisione nell’affrontare tematiche così complesse e ampie.
Introduce l’argomento puntualizzando che la storia dei popoli, delle collettività, come la storia di ciascuno di noi, è fatta di continuità e discontinuità, di rotture ma anche di passato. Il 25 aprile, come il 2 giugno, sono delle ricorrenze che hanno segnato sicuramente dei cambiamenti, la fine del ventennio fascista, della monarchia e l’inizio della Repubblica, ma sono date che dobbiamo leggere dentro una “grande storia” in cui ci sono anche elementi che rimangono. Quindi è questa la chiave per leggere la Storia.
Il senso della Resistenza e la perdita di consenso del fascismo
Aurora – Qual è il senso della Resistenza se c’erano già le truppe anglo-americane che stavano liberando l’Italia dal nazi-fascismo?
Prof. D’Andrea – La Resistenza è una vicenda rilevante. Molte città, penso a Napoli, a Genova, si sono liberate dai nazi-fascisti prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane. L’intensità dell’azione della Resistenza, coordinata con l’esercito degli alleati nella liberazione dal nazi-fascismo, ha consentito, alla fine della guerra, di presentarci come un Paese che ha preso le distanze dal regime fascista non solo perché sconfitto. L’Italia, proprio grazie alla Resistenza, si presentava, quindi, come un soggetto che chiedeva un nuovo posto nella comunità internazionale che sorgeva dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Valeria – L’antifascismo prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane godeva di pochi sostenitori, perché si assiste ad un’espansione del fenomeno solo con lo sbarco degli americani?
Prof. D’Andrea – Il discorso è complicato e dovrebbe essere ampliato, ma cercherò di sintetizzare.
Il fascismo era un sistema in cui le libertà erano soppresse: gli oppositori erano mandati al confino, alcuni furono bastonati o uccisi come Amendola o Matteotti, quindi il fascismo ha goduto di un consenso notevole, ma in un contesto non libero. La guerra, inoltre, a fianco dei tedeschi ha portato ad un’ulteriore perdita di consenso. Abbiamo rapporti dei servizi segreti che segnalavano fermenti di ribellione e scontento prima che arrivassero gli anglo-americani. L’alleanza con i tedeschi, inoltre, era malvista anche da settori fascisti, basti pensare alla posizione di Ciano, di Grandi e di Balbo. Il fascismo aveva così meno sostenitori, le truppe alleate hanno poi alimentato la posizione antifascista.
Il fenomeno dell’antifascismo, che non è stato un fenomeno di massa, come non lo è stato il fascismo al suo avvento, alla fine ebbe, dunque, un sostegno notevole sì di una minoranza, ma di una minoranza di sicuro politicamente più attiva e che ha segnato il futuro del Paese.
Sistemi di organizzazione del potere politico
Marika–Com’è possibile che nell’Europa delle Rivoluzioni francese e americana e del giusnaturalismo di Locke possano essersi sviluppati i totalitarismi di Mussolini, Hitler, Stalin, facendo fare un grave passo indietro al Vecchio Continente?
Prof. D’Andrea – Questa è una domanda difficilissima. Chi l’ha pensata merita un premio perché è molto bella, ma un rimprovero perché molto complessa.
Dentro la storia della modernità, che nasce con le grandi Rivoluzioni, francese e americana di fine Settecento, precedute dall’idea che gli uomini hanno dei diritti per natura, coesistono due filoni: quello del costituzionalismo liberal-democratico, che guarda il potere dal punto di vista dei cittadini, parte dai loro diritti e tenta di organizzare il potere proprio a partire da questi ultimi. La nostra Costituzione fa la stessa cosa: nella prima parte c’è l’enunciazione dei diritti e dei doveri dei cittadini, nella seconda l’organizzazione del potere. C’era poi un filone tradizionale che guardava la protezione dei cittadini dalla prospettiva del potere e ricostruiva il sistema dal punto di vista dello stato assoluto (dal latino absolutus, sciolto dai limiti).
Dopo la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nasce la società di massa, la Prima guerra mondiale fa venire fuori fenomeni sino allora inimmaginabili. E’ in questo periodo che si assiste allo sconvolgimento degli equilibri tradizionali con l’estensione del diritto di voto e le rivendicazioni dei lavoratori.
Liberal democrazie e totalitarismi
La risposta che il potere statuale ha dato a queste nuove istanze è stata o quella delle Costituzioni liberal democratiche, come la nostra Costituzione, o quella del totalitarismo.
Dopo la prima guerra mondiale, infatti, i sistemi totalitari si diffondono, oltre che in Italia e in Germania, in tutta Europa, nella Spagna di Franco, nel Portogallo di Salazar e nell’Unione sovietica di Stalin. Nascono come risposta alle sfide della società di massa e rimangono sullo sfondo, battuti solo con il Secondo conflitto mondiale, grazie anche all’ingresso degli Stati Uniti.
Certo, la tentazione di stare in una massa, anonimi, guidati da qualcuno, esenti da responsabilità, è una tentazione sempre presente. E il sistema liberal democratico, centrato sulla libertà e l’uguaglianza, è un sistema da conquistare ogni giorno e che richiede spirito critico e scelte consapevoli. L’alternativa, tuttavia, è diventare un gregge di coloro che “credono, obbediscono, combattono”, incapace di costruire la vita comune, la repubblica, la res publica, la cosa di tutti. Dobbiamo essere sempre consapevoli che quest’alternativa esiste ed è incombente.
Democrazie e partiti antisistèma
Miriam – La legge Scelba, che vieta la riorganizzazione del partito fascista, è mai stata realmente applicata?
Prof. D’Andrea – L’Italia repubblicana nasce sull’idea di una democrazia che dà libertà a tutti. Le democrazie liberali seguono due opzioni: alcuni sistemi prevedono meccanismi di protezione ed escludono le forze politiche che li vogliono sovvertire. Queste sono le democrazie protette, come quella tedesca, ad esempio, che prevede che partiti antisistèma possano essere esclusi dalla competizione. La nostra non è una democrazia protetta: ricordo che negli anni Settanta in Italia c’era il partito monarchico (PDIUM). Leggendo la Costituzione troviamo una norma, l’articolo 139, che sancisce che la forma repubblicana non può essere rivista. E come mai allora esisteva un partito che dichiarava di sostenere una forma di stato monarchica?
Proprio perché l’Italia è una democrazia non protetta e, in linea di principio, consente a chi vuole cambiare il sistema, con libero dibattito, di poterlo fare, accogliendo anche partiti contrari al suo ordinamento costituzionale.
Unica eccezione il partito fascista perché la storia, evidentemente, pesa!
La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, tradottasi poi nella legge Scelba, dal nome del Ministro degli interni che la promosse, infatti, vieta la ricostituzione del partito Fascista.
La legge Scelba è stata applicata, però, una sola volta contro un partito neofascista, Ordine Nuovo. Gli altri partiti, l’MSI su tutti, che si ricollegavano all’origine fascista, in forma più o meno esplicita non sono stati “toccati”. Tutto ciò per ragioni giuridiche in quanto il divieto riguardava solo la ricostituzione del disciolto partito fascista e non anche una nuova forma di fascismo.
La mia lezione, però, è questa: pensare di limitare fenomeni politici con norme costituzionali o giuridiche, a mio avviso, è illusorio. La vicenda spagnola ne è una conferma rispetto al partito basco, l’Herri Batasuna, risorto poi con altri nomi.
I problemi politici vanno letti, “giocati” e sconfitti sul terreno politico, non ci possono essere scorciatoie giuridiche.
Il 25 aprile e la Repubblica italiana
Elisea – La nostra Repubblica si fonda essenzialmente su due eventi: la liberazione dal nazifascismo, ricordata appunto il 25 aprile, e il referendum del 2 giugno 1946. Come mai questi eventi non sono particolarmente sentiti dalla nostra società? Questa mancanza di coinvolgimento ha inciso sulla risoluzione di problematiche politico-sociali nel nostro Paese?
Prof. D’Andrea – Anche questa domanda, pur riguardando solo fenomeni italiani, non scherza come complessità.
Come vi dicevo all’inizio, ci sono eventi che segnano discontinuità, ma ci sono sempre delle continuità.
Intanto premetto che sono parzialmente in dissenso se marchiamo troppo la domanda: io penso che il 25 aprile e soprattutto il 2 giugno siano largamente sentiti come propri dai cittadini italiani, i valori di queste due date, ai quali fanno riferimento repubblicani e liberaldemocratici, non sono marginali. Detto questo la domanda coglie nel segno particolarmente per il 25 aprile che è attualmente sentita da alcuni come festa di “parte”. Questa situazione inizia a delinearsi dagli anni ’90, quando la coalizione di centro destra al governo del Paese, in cui vi erano anche gli eredi del partito vicino all’esperienza fascista (MSI), si dichiara estranea al 25 aprile. Ma il partito precedentemente al governo, la DC, forza alternativa al Partito comunista, non ha mai dubitato nel celebrare questa festa e non l’ha mai ritenuta una festività appartenente ai soli partiti di sinistra.
Il fenomeno su cui fermare l’attenzione è, quindi, la difficoltà in Italia di gestire storicamente un cambio di classe di governo all’interno dello stesso sistema costituzionale. Se il sistema costituzionale fosse sempre lo stesso, potremmo concentrarci sui problemi della sanità, dei trasporti, dell’economia. Quindi il coinvolgimento unitario sui valori costituzionali sarebbe utile per dividersi veramente solo su problemi politici contingenti e significativi per i cittadini.
Siamo d’altra parte sicuri che ancora oggi sia credibile che ci si distingua tra chi è fascista e chi è comunista? Possibile che continuiamo a discutere sui massimi sistemi e non riusciamo a trattare argomenti che sono leggi, che sono amministrazione o scelte finanziarie? Questa mancata unità intorno ai valori comuni, penso sia un costo per il sistema.
I diritti inviolabili dell’uomo
Antonio – Che senso ha il Processo di Norimberga se fatto dai vincitori contro i vinti?
Prof. D’Andrea – Anche questa è una domanda che richiede una risposta vasta e complessa, tenterò comunque di essere chiaro e il più possibile conciso. Storicamente è difficile negare che il processo di Norimberga sia stato un processo impalcato dai vincitori contro i vinti e la scelta di Norimberga in tal senso non è causale. Norimberga è, infatti, la città simbolo del nazismo, è il luogo dove il nazismo nasce. Questa vicenda, tuttavia, è da collocare anche dentro una tendenza, che sta andando avanti nella storia, a costruire un sistema di relazioni internazionali nel quale valga l’idea che sta dietro i sistemi costituzionali liberal-democratici. Quale? Quella che vi dicevo poc’anzi. Vi sono dei valori, come il rispetto della dignità dell’uomo e, quindi, il riconoscimento dell’uguaglianza e delle libertà fondamentali che sono inviolabili, vincolanti anche il potere dello Stato ed appartenenti a tutto il genere umano.
Il nazismo aveva usato gli esseri umani come cavie, aveva tentato di sterminare un ghenos, un popolo, aveva ucciso donne e bambini. Norimberga segna la volontà di dire “mai più”agli orrori nazisti, non perché lo dice un ordinamento, ma perché lo dice l’umanità intera.
Un nuovo ordinamento internazionale
L’idea è quindi quella di stabilire che ciò che fa lo Stato non è senza limiti e anche ciò che stabilisce un governo può essere fonte di responsabilità davanti a strutture giudiziarie che sono “la coscienza del mondo che non tutto è possibile e che diventano istituzione”.
È un’idea grandiosa e non facile, ma un’idea importantissima, affermata per la prima volta a Norimberga.
Il potere è limitato dai diritti. Così è anche per la Costituzione italiana e ve lo posso motivare citandovi una serie di articoli che impediscono al governo di disporre liberamente della nostra vita.
Il sistema liberal-democratico, che può essere criticato sotto mille profili, ha però l’dea che la dignità umana sia al centro del sistema. Il primo articolo della Costituzione tedesca recita “La dignità umana è intoccabile per ogni forma di pubblico potere”. Questa idea deve essere un’idea cui tutti i governi devono attenersi. Norimberga è la prima manifestazione storica di questa tendenza e non può essere visto solo come il processo dei vincitori contro i vinti.
Ringraziamo il professore per la sua chiarezza, disponibilità e simpatia e chiudiamo con la sua citazione dell’articolo due della nostra Costituzione:
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art.2 Costituzione Italiana
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