Medioriente: l’ennesima guerra tra ebrei e palestinesi

Immagine di guerra. Licenza CC
La scintilla che ha riacceso il conflitto

Dal 1948 nella Terra santa, simbolo per le tre grandi religioni monoteiste, ebraica, cristiana e islamica, non c’è più pace. Da quando la terra “promessa” agli Ebrei da parte del loro dio, Jahweh, è diventata lo Stato di Israele, condannando gli antichi abitanti, i Palestinesi, a cercare rifugio presso altri Paesi, i periodi di pace si alternano a lunghi periodi di attentati, guerriglie, bombardamenti, guerre.

Il 10 maggio in questo territorio si è riaperta la ferita mai rimarginata. Per conoscere le cause dell’ennesima guerra e il pensiero della gente comune, che abita in questa Terra straziata, abbiamo incontrato Karol, ebrea che vive a Tel Aviv, e Alasana, islamico palestinese di Khan Yunis.

Perché il 10 maggio è scoppiata la guerra tra Israele del presidente Netanyahu e il gruppo politico e paramilitare Hamas della Striscia di Gaza?

K. – Il 10 maggio la guerra di noi Israeliani contro i palestinesi della Striscia di Gaza è scoppiata a causa delle lamentele di alcune famiglie arabe che sono state sfrattate da Gerusalemme. Per ripicca un gruppo di terroristi e fanatici islamici, il partito paramilitare Hamas, ha lanciato centinaia di razzi su Israele, cercando di colpire Tel Aviv.

A. – Il motivo dell’attacco da parte di Hamas è spinto dall’incremento della politica espansionistica di Israele degli ultimi mesi. Netanyahu ha occupato il nostro quartiere palestinese di Sheikh Jarrah (Gerusalemme Est), distruggendo diversi stabili e costringendo molte delle nostre famiglie ad abbandonare le loro case. L’organizzazione Hamas che governa il mio Paese, Gaza, ha quindi deciso di lanciare razzi su Israele, che ha reagito a sua volta attaccandoci con diversi raid aerei e carrarmati.

La striscia di Gaza

Cosa sta accadendo in queste ore nella Striscia di Gaza?

K. – In queste ore la Striscia di Gaza è stata bombardata, su richiesta del nostro presidente Netanyahu, che ha soltanto risposto ad un attacco da parte dei palestinesi e ha provocato la morte di otto miei concittadini, tra cui un bambino.

A. – La risposta di Israele al nostro attacco con il pesante bombardamento sulla Striscia ha provocato la morte di centonovantadue palestinesi, tra i quali anche donne e bambini. Hamas ha lanciato oltre 2.000 razzi ma di questi il 90% è stato intercettato.

Perché Israele bombarda Gaza?

K. – Il mio presidente ha bombardato Gaza solo per difendersi e non mostrarsi debole dopo gli attacchi che ci sono stati fatti. Riteniamo che Hamas abbia colpito Israele in modo premeditato per aumentare il proprio consenso politico in Cisgiordania. Bisogna far capire ai palestinesi che quella non è la loro terra e che noi israeliani non ci arrendiamo. Del resto Hamas è un gruppo terroristico e Netanyahu non intende fermarsi, spiegando che “Abbiamo ragione e non possiamo venire a patti con questo terrore, con questa ferocia, con questa violenza”.

A. – Gaza ha rappresentato da sempre uno dei punti chiave di questo decennale conflitto: è in questa regione costiera confinante con Israele e l’Egitto che si sono consumati i peggiori massacri, l’ultimo, nel 2018, ha causato migliaia di feriti e 17 morti palestinesi, ed è qui che si sono rifugiati milioni di palestinesi durante gli anni di politiche espansionistiche da parte di Israele. Abbiamo attaccato Israele proprio per fermare la sua espansione degli ultimi mesi. Ancora una volta gli Ebrei cercano di prendere le nostre terre.

Terre contese
Cosa rivendica Hamas?

K. – Hamas, per noi, ma anche per altri Stati, gruppo terroristico, che pianifica ogni giorno nuove strategie per ucciderci, rivendica un diritto che non è suo, cioè istituire uno Stato palestinese qui, in queste terre, le nostre terre.

A. – Noi rivendichiamo il ritorno della Palestina alla sua condizione precoloniale e l’istituzione di uno Stato palestinese, che può avvenire soltanto “attraverso la guerra”. Non dimentichiamo  che nel 1948 lo Stato di Israele è sorto nella nostra Palestina, nel Paese in cui vivevamo da secoli.  E ora gli Ebrei di Netanyahu vogliono continuare ad ingrandire il loro territorio.

Cosa vogliono gli Ebrei?

K. – Noi Ebrei vogliamo solo vivere nella terra che ci spetta per diritto, in quanto ci è stata promessa dal nostro Dio. Per molto tempo noi Ebrei, sparsi per il mondo, siamo stati ghettizzati e discriminati da altre popolazioni. Per centinaia di anni siamo rimasti lontani dalla nostra casa, ma ora intendiamo riprendercela e siamo pronti a lottare per averla.

A. – Una volta concluso il secondo conflitto mondiale, in Europa, migliaia di sopravvissuti alla shoah hanno riconosciuto la propria identità soltanto in quella ebraica, con la volontà di raggiungere la Palestina, percepita come l’unico luogo sicuro dopo gli orrori dell’olocausto. Il 14 maggio del 1948, il governo provvisorio ebraico ha proclamato la nascita dello Stato di Israele.

Ma in quella regione vivevamo noi da secoli. E per noi è il nakba, la catastrofe, ed è l’inizio della nostra vita da profughi.

Le responsabilità dell’Occidente

Quindi qual era la situazione prima del 1948, anno della nascita dello Stato di Israele?

K. – Prima della nascita dello Stato di Israele, noi Ebrei siamo stati perseguitati per secoli, uccisi, ghettizzati e considerati un popolo pericoloso. E’ nato, quindi, in noi il desiderio di avere una casa e di vivere nella nostra “Terra promessa”. Prima del 1948, inoltre, noi Ebrei siamo stati vittime dell’olocausto, frutto dell’odio di Hitler e dei suoi seguaci, che ha provocato la morte di 6 milioni di miei fratelli, di persone come me.

A. – Dopo la Seconda guerra mondiale, l’allora primo ministro inglese, Ernest Bevin, proponeva di avviare uno Stato palestinese unitario, all’interno del quale potessero convivere ebrei e arabi. L’ONU, allora, sotto l’influenza degli USA, proponeva con la Risoluzione 181 la divisione della terra dei musulmani in due stati separati, proposta che noi Arabi abbiamo rifiutato perché si voleva dare addirittura il 54% delle terre agli Ebrei, che erano solo il 30% della popolazione, mentre a noi, che eravamo tantissimi, sarebbe toccato meno del 40%.

Una guerra infinita

Pensi che la guerra possa servire a qualcosa?

K – No, la guerra, la violenza e la morte non sono mai le soluzioni per risolvere un problema. La guerra è una nube di orrori, di sofferenza e morte. A fare le spese sono soprattutto i civili, i bambini, le donne.

I palestinesi, però, con la loro violenza e insensibilità nei nostri confronti, non si sono resi conto che Israele è l’unico posto in cui noi Ebrei ci sentiamo veramente a casa. Non hanno capito che dopo ciò che ci è successo, dopo gli orrori e la crudeltà di cui siamo stati vittime durante la Seconda guerra mondiale, noi saremmo ritornati nell’unica casa in cui ci saremmo sentiti al sicuro e protetti. Israele è la nostra terra ed è un nostro diritto viverci.

Purtroppo l’istituzione dei gruppi terroristici islamici, nati per attaccare e cacciare noi Ebrei dalla nostra terra, fa sì che la guerra sia inevitabile e rappresenta l’unica soluzione per mettere un doloroso argine all’ignoranza e al fanatismo religioso.

Le parole di Papa Francesco

A – No, la guerra non porta a nulla, solo alla rovina del paese, al crollo economico e alla sofferenza per migliaia di famiglie. Troppi sono i morti, soprattutto bambini, troppe le case distrutte, le vite distrutte. La strada da seguire sempre è il dialogo. Perché l’odio e la vendetta porteranno solo distruzione.

Ma noi palestinesi dobbiamo riprenderci ciò che ci è stato tolto. Dobbiamo tornare a essere padroni della nostra terra. Purtroppo gli Ebrei non vogliono capire, per cui, in questo caso, la guerra sembra inevitabile.

Eppure, sebbene io sia islamico, domenica ho ascoltato Papa Francesco, che ha rivolto un accorato appello affinché si metta fine alla guerra che porta solo morte di innocenti, distruzione e odio. “La guerra non costruisce futuro ma lo distrugge…Davvero pensiamo di costruire la pace distruggendo l’altro? Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro”.

Karol D’Urso e Alasana Jaiteh I D Chimica materiali e biotecnologie

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